Siamo a Parigi in un elegante palazzo abitato da famiglie dell’alta borghesia. Ci vivono ministri, burocrati, maîtres à penser della cultura culinaria. Dalla sua guardiola assiste allo scorrere di questa vita di lussuosa vacuità la portinaia Renée, che appare in tutto e per tutto conforme all’idea stessa della portinaia: grassa, sciatta, scorbutica e teledipendente. Niente di strano, dunque. Tranne il fatto che, all’insaputa di tutti, Renée è una coltissima autodidatta, che adora l’arte, la filosofia, la musica, la cultura giapponese. Cita Marx, Proust, Kant… Dal punto di vista intellettuale è in grado di farsi beffe dei suoi ricchi e boriosi padroni. Poi c’è Paloma, la figlia di un ministro ottuso; dodicenne geniale, brillante e fin troppo lucida che, stanca di vivere, ha deciso di farla finita (il 16 giugno, giorno del suo tredicesimo compleanno, per l’esattezza). Fino ad allora continuerà a fingere di essere una ragazzina mediocre e imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre, segretamente osservando con sguardo critico e severo l’ambiente che la circonda. Due personaggi in incognito, quindi, diversi eppure accomunati dallo sguardo ironicamente disincantato, che ignari l’uno dell’impostura dell’altro, si incontreranno solo grazie all’arrivo di monsieur Ozu, un ricco giapponese, il solo che saprà smascherare Renée. Le pagine scivolano leggere fra i dotti rimandi e la lingua forbita di Renée e il parlato acerbo di Paloma, mentre l’ironia pungente non risparmia l’ipocrisia imperante nei quartieri chic. Quando ci s’imbatte in tale miscela di leggerezza e umorismo, cultura e profondità, è un piccolo miracolo.
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