Affiora subito alla mente del lettore più attento e appassionato il riferimento a Wilde e al suo Il ritratto di “Dorian Gray”.
Il protagonista, infatti, sembra molto simile ad Antonino, uno dei personaggi centrali del romanzo di Nazareno Barra. Stessa sete di potere; stessa voglia di cambiare, con l’aiuto di una forza superiore, il naturale evolversi della propria vita; stessa moneta di scambio, l’anima; stessa arrendevole presa di coscienza e stessa inesorabile sorte.
In questo suo primo libro l’autore tocca un argomento caro non solo alla letteratura ma anche all’uomo e al suo fondamento esistenziale.
Si tratta dell’ennesima battaglia tra bene e male, la costante intromissione di Lucifero nella vita delle persone, quel tarlo che s’insinua nella mente a suon di musica affrontato, però, questa volta, da prospettive in parte nuove e in parte conosciute e, forse deliberatamente, ignorate dalla carta stampata.
L’ambientazione di Il violinista non è semplice, occorre ritornare indietro di almeno cinque secoli e ripercorrere gli anni più oscuri della storia d’Europa, e della Spagna in particolare, quando a comandare era l’inquisizione, quando era sufficiente dire una parola di troppo per finire sul rogo.
Alcuni importanti dettami della chiesa medievale vengono messi in discussione, mentre i preti-giudici, semplici uomini che in nome di Dio si arrogano il diritto di decidere della vita e della morte forti di parole che Dio stesso non ha mai pronunciato, vengono, invece, sottoposti a dura prova da un antico filosofo, la cui collocazione all’interno della storia pare del tutto inappropriata e fuori luogo, che ha fatto della sua ignoranza la fonte della sua saggezza. Egli è la vera coscienza di tutto il romanzo, l’ “indicatore di direzione”. Solo alla fine il lettore capirà la sua
importanza e l’originalità di tale scelta narrativa da parte di Barra.
Una lotta fratricida inconsapevole sorretta da un ritmo incalzante, mai noioso e sempre adatto alla scena descritta. Le pagine scorrono veloci caratterizzate da uno stile semplice, moderno, vicino sia a chi legge che al periodo storico della vicenda.
Tragico, come in fondo è giusto che sia, il finale. Il millenario scontro fra il diavolo e il suo antagonista non prevede vinti ne vincitori. Non ammette compromessi. Le due estremità si equivalgono. Si annientano per ricostituirsi a vicenda perchè una senza l´altra non ha motivo di essere. Rimane la tristezza. Lo sconforto di due fratelli che non hanno saputo amarsi, cercarsi, completarsi.
(Recensione di Cinzia Ceriani)
Il protagonista, infatti, sembra molto simile ad Antonino, uno dei personaggi centrali del romanzo di Nazareno Barra. Stessa sete di potere; stessa voglia di cambiare, con l’aiuto di una forza superiore, il naturale evolversi della propria vita; stessa moneta di scambio, l’anima; stessa arrendevole presa di coscienza e stessa inesorabile sorte.
In questo suo primo libro l’autore tocca un argomento caro non solo alla letteratura ma anche all’uomo e al suo fondamento esistenziale.
Si tratta dell’ennesima battaglia tra bene e male, la costante intromissione di Lucifero nella vita delle persone, quel tarlo che s’insinua nella mente a suon di musica affrontato, però, questa volta, da prospettive in parte nuove e in parte conosciute e, forse deliberatamente, ignorate dalla carta stampata.
L’ambientazione di Il violinista non è semplice, occorre ritornare indietro di almeno cinque secoli e ripercorrere gli anni più oscuri della storia d’Europa, e della Spagna in particolare, quando a comandare era l’inquisizione, quando era sufficiente dire una parola di troppo per finire sul rogo.
Alcuni importanti dettami della chiesa medievale vengono messi in discussione, mentre i preti-giudici, semplici uomini che in nome di Dio si arrogano il diritto di decidere della vita e della morte forti di parole che Dio stesso non ha mai pronunciato, vengono, invece, sottoposti a dura prova da un antico filosofo, la cui collocazione all’interno della storia pare del tutto inappropriata e fuori luogo, che ha fatto della sua ignoranza la fonte della sua saggezza. Egli è la vera coscienza di tutto il romanzo, l’ “indicatore di direzione”. Solo alla fine il lettore capirà la sua
importanza e l’originalità di tale scelta narrativa da parte di Barra.
Una lotta fratricida inconsapevole sorretta da un ritmo incalzante, mai noioso e sempre adatto alla scena descritta. Le pagine scorrono veloci caratterizzate da uno stile semplice, moderno, vicino sia a chi legge che al periodo storico della vicenda.
Tragico, come in fondo è giusto che sia, il finale. Il millenario scontro fra il diavolo e il suo antagonista non prevede vinti ne vincitori. Non ammette compromessi. Le due estremità si equivalgono. Si annientano per ricostituirsi a vicenda perchè una senza l´altra non ha motivo di essere. Rimane la tristezza. Lo sconforto di due fratelli che non hanno saputo amarsi, cercarsi, completarsi.
(Recensione di Cinzia Ceriani)
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